Ha(b)remus Praesidentem

Un merlo, che mi passava davanti mentre ero intento al riposo quotidiano sulla balaustra del mio balcone, mi ha sussurrato una notizia proveniente dal futuro prossimo venturo.
Date le sue presumibili origini romane in zona molto centrale, mi si è solennemente rivolto con un: “Habemus Praesidentem”.
Dopo aver pensato: “non ammetto che mi si rivolgano termini in inglese” (in contesti ufficiali è successo un equivoco simile), il mio emisfero destro mi ha prontamente suggerito che si trattava di latino, magari non puro, ma sempre latino voleva essere e che il merlo intendeva dire con parole sue che finalmente un “premier” - e qui ce la si può giocare ai punti tra francese e inglese - era stato nominato.
Bene, il “Grande fratello” è appena ricominciato e già ci sono le nominations? (io posso usare i termini che voglio, anche anglosassoni e, se mi va, guardo il “Grande Fratello”, chiaro?)
Il concetto è chiaro, ma il “Grande Fratello” non era coinvolto. A essere parte in causa e ad avere a che fare con il premier, erano gli alleati politici naturali del fondatore dell’emittente che trasmette il Grande Fratello, nonché il fondatore stesso, che aveva gratuitamente messo a disposizione una sede autorevole per suggellare un accordo tra gentiluomini (e gentildonne, ovviamente).

L’incontro si svolse fuori dal Continente, in Sardegna.
L’accordo prevedeva che una coalizione, che aveva vinto le elezioni ben otto settimane addietro, avrebbe ricevuto l’appoggio di un gruppo che aveva perso (e lo aveva esplicitamente ammesso, senza retorica).
Non di tutto il partito, che ormai era prossimo alla scissione e in balia di una bussola democraticamente smagnetizzata, ma di una parte di esso che, in nome di una apprezzata responsabilità, si faceva portatore del superiore interesse di dare finalmente un governo credibile e non figlio di una squallida e improbabile forzatura delle leggi della scienza. Il paradigma era diventato “la credibilità” e infatti venne formato un governo di “credibilità internazionale”.
Un governo che potesse cancellare i sorrisini ironici dalla bocca di altri governanti (che col tempo avrebbero poi avuto anche loro qualche piccolo inconveniente) e che potesse fungere come esempio di accordo ideale.
Un premier lombardo di nome Matteo, portatore sano di tantissimi voti sani, con l’appoggio esterno, quantunque non operativo, di un toscano Matteo, che in nome di correttezza qualche piccolo favore doveva pur renderlo all’editore milanese, naturale alleato del meneghino Matteo e della capitolina Giorgia.

Il successore del Professor Giorgio La Pira, fiorentino Matteo in quanto già anch’egli borgomastro della seconda capitale dell’Italia Unita, colse l’occasione per rendere il favore dell’appoggio, ma evitò accuratamente di esortare l’Eurosilvio alla serenità.
Questo innocuo invito ha infatti dimostrato una forte tossicità immediata e una spiccata tossicità ritardata.
Ma non era finita qui: il colpo di scena doveva ancora arrivare. Per raggiungere un appoggio ancora più largo e solido si fecero volontariamente e disinteressatamente avanti anche le forze di sinistra estrema e moderata e gli appartenenti al gruppo misto. Ormai il motore della credibilità era avviato e, con energia pulita, si autoalimentava.

Se un governo di questo tipo, in grado di far parallelamente convergere forze per loro natura divergenti, vedesse davvero la luce e non fosse soltanto un’elaborazione onirica di un gatto nullafacente, allergico alla fatica e ripieno come un tacchino, comincerei a fare come la gazzella africana (o, meglio l’antilope ...) e mi metterei in salvo, visti i precedenti di quaranta anni fa a Roma.

Oppure potrei propormi per un mandato esplorativo, pezzo irrinunciabile della nuova collezione primaverile, che in quanto a popolarità sta battendo anche il termine “par condicio” (e dagli con questo inglese! ma no, è latino).

Ma sono tranquillo ... me lo ha detto un uccellino.

Il vostro Attila

Presidente del Consiglio di Casa Sua

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